14 settembre 2012

69° MOSTRA DEL CINEMA DI VENEZIA 2012

A ben guardare le campagne di derisione, se non di vera e propria diffamazione contro la nostra bella e santa religione non finiscono mai. La religione della carità e dell’amore per il prossimo è anche la più perseguitata e la più vilipesa. E’ interessante considerare come certe cose non si vedono mai fatte a mussulmani o buddisti o ebrei.
Non vorrei lavarmene le mani ma purtroppo chi dovrebbe esserci maestro e guida lascia sempre perdere, a priori. Pastori che all’arrivo del lupo sono sempre dialoganti e pronti a chiedere scusa, poiché sicuramente magari in passato le pecorelle avranno combinato qualche marachella. Bisogna ammettere che questo dona alla pecorella la tentazione di combinarne veramente qualcuna.

Poi ci sarebbe anche da chiedersi com’è che ai funerali dei pastori ci siano più lupi affranti che pecorelle. Tant’è: mala tempora currunt.Eppure sarebbe sufficiente leggere qualche giornale, trovarsi un po’ di tempo e le battaglie a difesa di Cristo e della Sua Chiesa sarebbero infinte.
Ci siamo quindi permessi di interessarci della Mostra del Cinema di Venezia, dove due film su tutti hanno attirato la nostra attenzione.
 
Paradise FaithIn cui si vedono scene dove una donna, fra l’altro fatta passare come fervente cattolica, fa sesso con un crocifisso. L’intento manifesto, sottolineato anche dalle parole dell’autore, e di creare un nesso fra devianze sessuali e religione cattolica.
Siamo nel paradossale, gli argomenti si sprecano, è evidente l’attaccamento della Chiesa alla legge naturale, e alla virtù di purezza (due su dieci comandamenti la riguardano e uno dei tre precetti evangelici).
L’Europa per 2000 anni è stata cristiana, e ha avuto una civiltà che ha permesso un fiorire delle arti e delle scienze come in nessun altro luogo, diventa evidente come la nostra religione aiuta e favorisce il
fiorire dell’uomo e dell’umanità. Il regista invece vorrebbe dipingere una religione di depravati e deviati, probabilmente ci vorrebbe affrancati dall’ateismo e dal materialismo. Ci permettiamo sottolineare al regista come in nessun altra epoca come nella nostra (o meglio nella sua) esistono dilaganti problemi psicologici, disturbi sessuali (fomentati da film come il suo), un utilizzo smisurato di psicofarmaci (dalla più tenera età), crisi depressive, suicidi.
 
La bella addormentata.Il film tocca il caso emblematico di Eluana Englaro, quindi dell’eutanasia.
Ci è sembrato importante cogliere l’occasione per prendere una posizione ferma sull’argomento.
Innanzitutto sciogliamo un’obiezione di fondo: non è importante il sapere se la ragazza volesse o meno morire poiché già il porsi questa domanda è sbagliato.
Nessuno sceglie di nascere è Dio che dona la vita, nessuno ha il diritto di togliersela o di toglierla senza il permesso di chi l’ha concessa.
L’uccidere non è solo un negare un diritto di Dio ma è un male per l’intera società. L’uomo è un animale sociale fatto per vivere in comunità, nella comunità si tessono rapporti e relazioni, tagliare questi rapporti non è una scelta che riguarda solo la singola persona ma si ripercuote sui cari, sugli amici, sulla famiglia, sull’intera comunità.
Di fronte al problema del finis vitae esistono in un certo senso due estremi:
Uno per eccesso: l’accanimento terapeutico. Siamo cattolici, non diciamo che bisogna vivere a tutti i
costi, sappiamo che la vita terrena non è tutto e la morte è solo un passaggio. Definire cos’è l’accanimento terapeutico spetta alla medicina, il scegliere se proseguire su una strada senza sbocco alla persona e a chi gli è vicino.
Uno per difetto: l’eutanasia. Il fatto di procurare intenzionalmente la morte, o comunque non prendere nessun mezzo per impedirla.
Il caso di Eluana è un caso emblematico: la somministrazione di cibo e acqua non è un intervento sanitario tantomeno accanimento terapeutico. Eluana è stata lasciata morire di fame.
Detto questo, e giusto per non perdere le buone abitudini, abbiamo pensato di fare un salto alla Mostra del Cinema per aderire al rosario riparatore organizzato dal Movimento con Cristo per la Vita.
Secondo il principio che ad un scandalo pubblico occorre una risposta pubblica.
 
Risposta che secondo il nostro stile non è fatta di sole parole o proteste mediatiche (la parola suona
l’esempio tuona) ne di una protesta rabbiosa o sopra le righe bensì civile e nel rispetto delle autorità e della legge.
Il fatto è che come ogni volta ci prendiamo gusto, occhi aperti, non finisce qua.
 
Alessandro Galvanetti
Comitato "San Carlo Borromeo"