20 gennaio 2012

Lettera aperta ad Antonio Socci


Caro Antonio Socci,
Le scrivo in nome del Comitato San Carlo Borromeo, dopo aver letto il suo articolo su Libero nel quale accoglie l'interpretazione che Castellucci stesso dà della sua opera: essa sarebbe più una preghiera che una bestemmia. La invito anzitutto a non prendere per oro tutte le parole che escono dalla bocca di Castellucci. Lei scrive che "non c'è motivo per non credergli". Sinceramente penso che più di un motivo ci sia e che, anche se le intenzioni dell'autore fossero sincere, lo spettacolo rappresenti oggettivamente un'offesa per la Fede cristiana, lo voglia o no Castellucci. 

Non sono solo i fondamentalisti cattolici a pensare questo, come i giornali, fino a poco fa, avrebbero voluto farci credere: è quello che hanno pensato diversi vescovi francesi e 58 deputati dell'Assemblea Nazionale francese che hanno firmato una petizione contro la cristianofobia in cui si menzionava esplicitamente lo spettacolo in questione; è quello che ha pensato la Curia di Milano chiedendo che sia rispettata la sensibilità dei cattolici milanesi; è quello che ha pensato Mons. Negri, il quale, riferendosi allo spettacolo, parla di "episodio miserevole dal punto di vista della espressione, non dico artistica, ma dell'espressione umana" ; infine è quello che ha pensato il Vaticano il quale giudica l'opera "offensiva" e auspica una "reazione ferma e composta della comunità cristiana guidata dai suoi Pastori". Ci sorprende che le parole di Castellucci, citate anche da Lei, abbiano potuto rassicurare tanti cattolici sul significato della sua opera. Infatti, per riprendere le parole di Mons. Negri, è in primo luogo un problema di espressione: le azioni e gli elementi messi in scena hanno una vita che è indipendente dalle intenzioni dell'artista. 


Certe scene offendono il sentimento dei cristiani e, quando si leggono le giustificazioni di Castellucci, si ha l'impressione di essere presi in giro: cominciamo con la scena in cui dei bambini lanciano finte granate contro il Volto di Cristo (scena che non sarà presente nello spettacolo di Milano ma solo per motivi "tecnici") . Castellucci pretende che si tratti di "un gesto innocente portato da innocenti. L'intenzione è quella del bambino che vuole tutta l'attenzione per sé del genitore distratto": direi che non è il significato più comune dell'azione messa in scena: si tratta abbastanza univocamente di un'azione di violenza, di offesa contro l'immagine di Cristo. Al limite dovrebbero essere presenti altri elementi oggettivi in grado di suggerire l'interpretazione del regista e smentire quella de "l'atto violento". Questi elementi oggettivi però non ci sono mai stati. Castellucci poi nega decisamente di aver mai voluto coprire di feci il volto di Gesù: "che idea! Niente di più falso, di cattivo, di tendenzioso". Purtroppo quest'idea così "falsa e cattiva" ce l'ha suggerita proprio il regista mediante tutti quegli elementi che sono stati oggettivamente messi in scena durante rappresentazioni passate: dall'inizio alla fine è presente il liquido scuro delle feci dell'anziano padre. Poi l'immagine di Cristo è imbrattato da un liquido nero che cola dal suo occhio perforato e il Volto infine viene lacerato, mentre appare la scritta: "Tu (non) sei il mio Pastore". 

Durante alcune rappresentazioni in Francia si vedeva l'anziano padre che, salendo su una scala dietro l'immagine di Cristo, svuotava un contenitore pieno dei suoi escrementi attraverso un buco fatto nell'immagine. In altre rappresentazioni, mentre il Volto di Cristo veniva imbrattato da quel liquido nero che richiamava le onnipresenti feci, un odore, appunto, di feci invadeva la sala. Cosa dobbiamo pensare allora se ci viene riproposto lo stesso liquido nero? Non saranno forse le feci che lo spettacolo ci mette davanti durante quasi un'ora? "No!", dice Castellucci: dovete pensare a un "velo d'inchiostro nero", o ancora meglio a "tutto l'inchiostro delle Sacre Scritture che si scioglie di colpo". Dobbiamo insomma fare quasi violenza a noi stessi, contro quello che gli elementi oggettivi ci inducono a pensare

Del resto, Castellucci lo dice apertamente, facendosi, dal punto di vista del problema dell'offesa oggettiva, un clamoroso autogol: dichiara di utilizzare "una tecnica antifrastica, omeopatica; una tecnica cioè che utilizza gli elementi estranei per significare l’opposto. E così, per esempio, un gesto violento vuole significare la fragilità umana e il bisogno di amore...", il ché riviene a confessare che effettivamente gli elementi oggettivi messi in scena di per sé significano qualcosa di violento e offensivo, e che l'intenzione è di significare l'opposto, cioè l'amore, ecc. Giustificazione un po' debole per chi vuole evitare di offendere migliaia di persone e per chi ha già offeso, come risulta da passate esperienze, moltissimi cattolici: cosa Le sembrerebbe se colui che offendesse in pubblico una persona a Lei molto cara, per mezzo di azioni di per sé violente, si giustificasse dicendo di aver utilizzato una "tecnica antifrastica e omeopatica" e che in realtà aveva voluto esprimere il suo amore? 

Anche nel caso, dunque, che le intenzioni di Castellucci fossero buone, resterebbe il grave problema dell'espressione oggettiva: l'offesa viene da questa più che dalle intenzioni insondabili dell'artista. Mi sia permesso di aggiungere che nutro qualche dubbio riguardo alla sincerità di Romeo Castellucci: colui che adesso cerca di giustificarsi tirando fuori i più bei significati mistici, non molto tempo fa, in un'intervista rilasciata alla rivista Real Time Arts, sosteneva, ragionando sull'arte, che "l'angelo dell'arte è Lucifero" e che "lo spettacolo mette in scena gli aspetti più volgari del mio essere, cioé l'artista che vuole rubare a Dio l'ultimo e più importante Sefirot. Questa è la maggiore gioia dell'artista: rubare a Dio" (rivista di arte australiana Real Time Arts, n. 52, 2002). 

Le prego dunque di riflettere su queste cose. Allora forse anche Lei riconoscerà in questo spettacolo un altro triste episodio di quella cristianofobia che oggi è purtroppo troppo diffusa.
In Cristo, 
Il Comitato San Carlo Borromeo.